Erica Mou – Giungla

Erica Mou è una scoperta recente.
Non tanto, in fondo, dato che il tempo vola e sono già passati circa sei mesi da quando ho avuto il piacere di ascoltarla a Sanremo.
La canzone che recensisco è presa dal suo album, È. Sappiate che avete di fronte quella che io reputo una delle più belle canzoni di sempre.

Il tema trattato è l’anticonformismo. La canzone è interamente metaforica, figura retorica da non confondere con la similitudine, come ero solito fare io: non troverete quindi cavolate del tipo: “I tuoi capelli risplendono come il sole“.

E tra l’altro si tratta di una canzone abbastanza ermetica e che lascia un po’ spiazzati a un primo ascolto.

In questa giungla di abitudini
Mi convinco che sia solo un problema mio
Non comprare il primo vestito che trovo in un negozio
Che a volte sta bene al manichino e non a me

E ancora:

In questa giungla di abitudini
Per andare avanti sposto i rami
Ma mi tornano in faccia
Servirebbe una maschera di plastica per ripararsi il volto
Riuscire a farsi largo, una maschera che
Sta bene al manichino e non a me…

Che cosa intende dire Erica Mou quando ci parla del manichino?

La giungla di abitudini, la giungla del conformismo in cui tutti siamo immersi è intricata, aspra: perché? Perché tutti noi, come diceva Pirandello, siamo attori, falsi con noi stessi e con gli altri. E chi vuole essere se stesso, in una società dove i reality imperversano, dove solo spogliandosi e mostrando le proprie tette si può andare avanti, ecco, non va proprio da nessuna parte. Serve allora indossare una maschera di plastica, ma… Ma una maschera che può stare bene al manichino (metafora della persona falsa, delle veline, dei partecipanti dei reality), ma non sta bene a Erica e neanche a voi che leggete, spero. Ecco allora che non si può scegliere il primo vestito che la TV e la società ci propinano, ma bisogna scegliere il vestito che sta bene alla nostra anima, al nostro essere, non al nostro apparire.

Riflettere, gente, riflettere…

E vorrei soltanto essere in me…

Vorrei poter essere me stesso e allo stesso tempo esserne felice. Erica, la speranza è l’ultima a morire: abbattere la giungla non è così semplice, ma sono certo che proprio attraverso la musica, attraverso la sensibilizzazione, e attraverso te potremmo un giorno riuscirci.

Voto:

Marco Guazzone – Guasto

Marco Guazzone ha recentemente partecipato al festival di Sanremo con la canzone Guasto.

Non volendomi dilungare su Sanremo e sul suo triste epilogo (parlo della sezione giovani così come quella dei big), passo direttamente al commento della canzone.

Guazzone è stato affiancato molto spesso ai Muse. La sua canzone, per come è costruito l’arrangiamento, per il veloce arpeggio del pianoforte, avrebbe affinità con quelle della band sopra citata.

Per quel che mi riguarda, parliamo di universi opposti.Innanzitutto ciò che è diversa è la tecnica canora. In effetti il cantante non raggiungere affatto le qualità canore di Bellamy, e mostra invece un’evidente fatica nel cantare; la tonalità è decisamente troppo alta.

Parlando del testo, non abbiamo di fronte niente di eccezionale: carina l’idea del guastarsi, carino il fatto che nell’ultimo ritornello a guastarsi sia proprio Guazzone e non la persona cui si riferisce. Ma sta qui il problema: questa è l’unica novità che si percepisce nella canzone. Il testo è breve. Si potrebbe dire: “Anche il testo di Bliss è breve!”

E in effetti è così, ma con Bliss si parla d’altro, perché il poco, l’essenziale, viene sfruttato molto bene e in maniera suggestiva, cosa che Guazzone non riesce a fare. Insomma: il contenuto è scarso, pur essendoci e pur non presentando incoerenze.

L’armonia tra musica e parole, poi, in Bliss raggiunge un livello molto alto. Qui non si ha a che fare con un testo originale, spiazzante. Il messaggio è: “Le cose si trasformano senza doversi per forza rovinare. Tu non lo capisci e quindi ti guasti, ti trasformi in maniera negativa. Poi mi guasto pure io, ed è una lotta continua che porterà a spezzarci in tanti pezzi”.

Troppo poco. Non è poco il messaggio, attenzione, dato che io non valuto l’originalità del messaggio: è poco il testo, è poco il modo in cui ci viene presentato.

Tuttavia, la sufficienza viene di certo raggiunta.

Voto: 6

Quando l’arte diventa denaro – Il caso di Avril Lavigne

È sempre brutto assistere al declino di un’artista. E non mi riferisco a un declino di popolarità, ma proprio a un declino artistico.

Non sono mai stato un fan sfegatato di Avril Lavigne. Se me ne parlavano l’associavo immediatamente a Girlfriend, a una ragazzina tinta, ribelle, che amava vestirsi di rosa e urlare: “Voglio il tuo ragazzo! Prendi me, sono meglio di lui!” L’idolo delle teenager, insomma.

Quando sono andato a ripescare i suoi vecchi video, quando ho visto il suo vecchio stile, quando ho sentito Take Me Away… Sono diventato molto triste. Diventare commerciali solo per il desiderio di ricchezza è quanto di più spregevole esista. Se dovessi valutare l’Avril Lavigne di The Best Damn Thing, dunque, non basterebbero i numeri naturali perché bisognerebbe utilizzare il segno. Come si può nei primi due album criticare i “ragazzi stronzi” per poi, nel terzo album, diventare una “ragazza stronza”?

L’Avril di un tempo era diversa; si parla d’altro. Si parla di una ragazza sensibile, una ragazza che soffriva e ci presentava le sue sofferenze nella musica, in un’atmosfera rock. Melodie interessanti, testi di una certa importanza, in un risultato che non poteva che stupire. Avril aveva un suo stile. Era lei, insomma, non indossava maschere sul volto. Vestiva nero, con bracciali a spine, vestita con cravatte dal nodo troppo largo. Si chiamava Avril Lavigne.

Adesso si chiama operazione commerciale. L’ultimo album, Goodbye Lullaby, mi aveva dato l’impressione di una maturità artistica ormai raggiunta, ma di fronte a What the Hell, di fronte al video ufficiale in cui Avril si mostra mezza nuda e sembra ancora una “truzzetta”, di fronte al video in cui viene pubblicizzata la sua linea di profumi… Cosa pensare? Guardate il video sopra prima e quello sotto poi, e ditemi cosa ne pensate.

Addio Avril!

Liguabue – M’abituerò

M’abituerò è un singolo del cantante Luciano Ligabue, pubblicato nel 2011.

Non sono solito ascoltare Ligabue; a dire il vero, per evitare favoritismi, tutte le canzoni fin’ora recensite sono di artisti che ascolto solo occasionalmente. (Piccola parentesi: credo che comunque un giorno cederò alla tentazione e dovrò recensire almeno qualcosa di quello che reputo il top.)

Ma dedichiamoci ora alla canzone in questione. M’è bastato il titolo per capire a cosa stavo andando incontro. Discutibilissima la scelta di apostrofare il mi con il verbo abituare; quale può essere l’eleganza di tale titolo? Sembra quasi un dialettismo. Ecco, dunque: già il titolo non mi convinceva.

M’abituerò a non trovarti
M’abituerò a voltarmi e non ci sarai

La prima frase non aggiunge nulla alla seconda. Se mi abituerò a non trovarti, mi abituerò anche al fatto che non ci sarai. Ma non sfugge l’errore grammaticale: così come è costruito, il secondo verso sembra dire:

a) Mi abituerò a voltarmi

b) Non ci sarai

In effetti le due frasi sono separate, il mi abituerò non può legarso al non ci sarai. Avrebbe avuto più senso dire, per esempio: M’abituerò a voltarmi e a non vederti.

Tralasciando questo, ciò che davvero non ho tollerato è stata la sua lezione di vita, qui:

Alla fine c’è sempre uno strappo
E c’è qualcuno che ha strappato di più

Se tu hai un problema, non è detto che tutti lo abbiano. Se tu non riesci a stare in pace col tuo partner senza fare strappi di questo tipo, sono problemi tuoi. Non sono tutti come te, ci sono storie d’amore che durano anche oltre la morte. Ecco dunque che dietro la frase più a effetto dell’intera canzone si nasconde un po’ di superbia.

Il succo della canzone, comunque, è questo: a volte, dopo liti interminabili, dopo strappi tanto dolorosi, bisognerebbe cercare di dimenticare. E bisogna dunque abituarsi a una nuova vita, una vita forse più sola. Ma dopo la bufera, le macerie rimangono: i ricordi, che non si cancellano. In effetti, ecco, elemento positivo della canzone il verso segnato in grassetto:

M’abituerò a non pensarti
Quasi mai, quasi mai, quasi mai

Le macerie rimangono sempre nel bagaglio. Non è possibile distruggerle, ma è possibile cercare di guardarle il meno possibile.

Non mi dilungo molto sul lato musicale, che risulta complessivamente accettabile, anche se semplice e non molto elaborato.

Voto: 5-

Muse – Bliss

Give me all the bliss and joy in your mind,

I want the bliss and joy in your mind

È questo il ritornello di Bliss, seconda traccia dell’album Origin of Simmetry.

Tutta la canzone si presenta come un’invocazione, come un disperato desiderio di perfezione, a cui si aspira, ma irrangiungibile. Il modello da seguire, il modello che agisce con spontaneità e naturalezza, il modello che si trova in una situazione di pace, di beatitudine, di gioia eterna, ci viene presentato in accordo con una melodia dai toni suggestivi, spaziali, evanescenti. Devo ammettere che il risultato è affascinante. Sin dall’accattivante intro, realizzato con un sintetizzatore elettronico, si percepisce un che di strano, quasi di ultraterreno. Sembra che ci si rivolga a un angelo, cui si desiderano le proprietà.

Sembra una resa alla propria impotenza, una confessione di imperfezione, appunto: no, non mi accontenterò di avere di meno, non mi accontenterò di essere il secondo classificato, e non mi accontento, e la mia invidia non può che crescere, non può che aumentare ed è essa stessa il primo sintomo dell’imperfezione.

Il testo è breve, ma colpisce, ed è meglio la qualità che la quantità: il risultato è più che soddisfacente: ci si trova di fronte a una canzone davvero interessante, per nulla banale, ma soprattutto diretta. Le doti canore di Bellamy poi non possono che rendere ancora migliore il pezzo, ancora più suggestivo, ancora più significativo.

Voto: 8

Modà – Tappeto di fragole

La musica è arte. L’arte serve per comunicare un messaggio, per trasmettere qualcosa, per esternare propri sentimenti. Nel momento in cui non si percepisce nulla perché il messaggio manca, dunque, cosa succede?

Esaminiamo dapprima il lato musicale: anche qui non c’è poi niente di nuovo.Pianoforte e voce si combinano, in maniera dolce e leggera. Solo successivamente entra la batteria e la chitarra. Sì, è una canzone d’amore, di quelle che fanno sognare le teenager. Orecchiabile, si potrebbe dire.

Ma non basta tutto questo, perché manca ciò che è fondamentale in una canzone: il significato. Ecco, la descrizione di un paesaggio: il fiore, le nuvole, il mare, ma… ma cos’è che dobbiamo ricevere? Cos’è che ci viene trasmesso?

Veniamo a quello che mi sembra un vero e proprio paradosso. Così dice il testo:

Eccoci qua a guardare le nuvole
su un tappeto di fragole
come si fa e spiegarti se mi agito
e mi rendo ridicolo

Questo presuppone che la seconda persona si trovi accanto al narrante, insieme a guardare le nuvole. Ho ipotizzato che la presenza fosse spirituale, ma in tal caso, perché mai si dovrebbe spiegare se ci si agita o ci si rende ridicoli? E poi perché spiegarlo? Forse per dire: “Sono ridicolo e mi agito perché ti amo”?

Tralasciando questo…

Una foto un po’ ingiallita
È tutto quello che ho
E non capisco se ridevi o no..
qui trafitto sulla terra steso me ne sto
aspettando di volare un po’

E torna di nuovo il ritornello. Eccoci qua. In due. Ma non rimane solo una fotografia ingiallita? Ma sei solo, o c’è qualcun altro accanto? Lo ripeto, l’idea che la presenza di lei sia spirituale non sarebbe neanche male, ma io voglio capire perché con uno spirito ci si agita e si deve spiegare che ci si sta agitando.

Insomma… È un’altra canzone tutto sommato vuota, è questo il problema di oggi. Poesia, poesia, ma la poesia ha un senso, e qui il senso dov’è? Indubbiamente bello il paesaggio, carino il fiore che sboccia, ma il significato? Cosa rappresenta il tappeto di fragole?

In sostanza, la canzone risulta vuota. Il lato musicale, seppure semplice e commerciale, risulta comunque apprezzabile, e la rende un po’ migliore della precedente canzone.

Voto: 4

Biagio Antonacci – Dimenticarti è poco

Il singolo, anteprima dell’album “Sapessi dire no”, che uscirà il 17 aprile, è disponibile su iTunes ed è attualmente in ottava posizione.

Ho ascoltato il brano attentamente, e sono pronto a recensirlo per voi.

Dal lato musicale, non troviamo niente di particolarmente nuovo. Si tratta della solita canzoncina d’amore, con alternanza di strofa, ritornello, strofa, ponte, e ritornello finale alzato di tono. Nessuno critica tale struttura, purché sia fatta bene. Qui il risultato non è entusiasmante, il motivo entra in testa, non è sgradevole da ascoltare ma è semplice, un po’ troppo commerciale.

Il testo non convince affatto, in alcuni punti “oscuro”. Nella prima parte l’autore ci riempie di metafore (la metafora, l’espediente forse più volgare, un qualcosa con cui ci si riempie la bocca e si fanno passare anche le parole più infime per poesia): il ricordo di lei viene a galla nell’oceano degli altri ricordi. Tale ricordo è inoltre come il secco in mezzo al fiorito, al prato verde di maggio. Ciò significa che la vita del narrante è perfetta, bella, se non fosse per quel ricordo. Ecco perché la metafora andrebbe bandita, perché porta solo a paradossi: una vita non può essere un prato fiorito con un solo ramo secco, perché il ramo secco poi contagia e fa seccare tutti gli altri arbusti inevitabilmente e poiché si presume che nessuno viva una vita perfetta, anche solo per un periodo di tempo. C’è sempre qualcosa che non va.

Così come il tuo bel nome
che ancora suona forte
via regali via dettagli 
cornici solo vuote
se bastasse davvero tutto questo
sarebbe tutto a posto
ma ho paura che a questo giro invece
dimenticarti è poco

Così come il tuo bel nome che ancora suona forte cosa? Il periodo è inconcluso, privo di significato. Dimenticarti è poco: eh no! C’è un errore logico di fondo.

In effetti, quello che Antonacci vuole farci intendere, è che, pur rimuovendo foto, pur cancellando sms con su scritto “ti amo”, pur mettendo via regali, dettagli e altro, non si riesce a dimenticare lei. In questa ottica dimenticarti non è poco, ma è tanto, è troppo, è impossibile. Sì, ma dimenticarti non è inteso in senso letterale, ma…

No, ma niente. Cercare di dimenticarti è poco, è niente. Ma non dimenticarti. Questo è ciò che si evince dal testo, perché altrimenti, cosa potrebbe significare? Che dimenticarla è inutile, e perché? Be’, perché non si dimenticherà mai e rimarrà sempre impressa… E allora siamo di nuovo punto e da capo, dimenticarla è troppo.

Infine, il ringraziamento che si dà alla persona un tempo amata: nonostante tutta la sofferenza, un ringraziamento particolare. Non è poetico?

In soldoni: la canzone non convine. Commerciale, con versi arrangiati, metafore, con lo scopo di colpire, ma il tutto risulta vuoto. Ecco: toccando questa canzone, tocco il vuoto. Non convince per il testo, è orecchiabile ma ripetitva e monotona per il lato musicale.

Voto: 4 =

Benvenuti nelle terre della musica

Benvenuti a chi si trova, chissà per quale assurdo motivo, su questo blog.

So già di stare scrivendo inutilmente, dal momento in cui il blog è appena creato e so già che al più presto chiuderà. Non sono mai riuscito ad attirare utenti in un qualche ritrovo virtuale, va oltre le mie capacità. Fa niente, se nessuno mi seguirà, questo sarà un posto solo per me.

Qual è il progetto? Un progetto di critica musicale. Siate spietati! Questo luogo è per tutti coloro che, in maniera molto snob, daranno le loro opinioni su canzoni, album e quant’altro.

Sarò io a proporre una canzone da recensire, e come? Attraverso una recensione, naturalmente. Nei commenti potrete poi dire la vostra opinione. Ma c’è una cosa di fondamentale… il voto.

Oggi i voti vanno di moda. Accendi la tv e trovi palette, be’, anche io voglio farlo, anche io voglio sentirmi tale. E lo farete anche tutti voi (eppure sto parlando al vuoto, ma chissà, un miracolo…).

Andate contro corrente, il mondo dice che i Beatles sono stati immensi e voi non la pensate allo stesso modo? Scrivetelo, non importa, qui tutti rispetteranno tutti, si discuterà in maniera del tutto pacata, anche se una punta di cattiveria nelle recensioni non deve mai mancare. Perché? Perché fa audience! 😀

SI INIZI, DUNQUE!